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Traffico di droga, appalti, riciclaggio: tutti gli affari sporchi delle mafie della Lombardia

É stata pubblicata nei giorni scorsi la relazione della Direzione investigativa antimafia che traccia la radiografia delle attività dei vari clan nella regione

Il 17 luglio 2020 è stata pubblicata sul sito internet del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati , la Relazione del 2° semestre 2019 sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Dia, la direzione investigative antimafia. Cosa emerge dal punto di vista generale? Da tempo si è osservata la tendenza delle organizzazioni mafiose ad operare sotto traccia e in  silenzio, evitando azioni eclatanti. Le mafie rivolgono le proprie attenzioni verso ambiti affaristico-imprenditoriali, approfittando della disponibilità di ingenti capitali accumulati con le tradizionali attività illecite.

Si tratta di modelli di mafia moderni, capaci sia di rafforzare i propri vincoli associativi, mediante la ricerca di consenso nelle aree a forte sofferenza economica, sia di stare al passo con le più avanzate strategie d’investimento, riuscendo a cogliere anche le opportunità offerte dai fondi dell’Unione Europea. L’allarme riguarda proprio il period che il Paese sta vivendo perché la relazione sottolinea “che l’attuale grave crisi sanitaria si presenta per le organizzazioni criminali come una “opportunità” per ampliare i propri affari, a partire dai settori economici già da tempo infiltrati,  per estendersi anche a nuove tipologie di attività”.

Ecco la radiografia delle mafie che operano in Lombardia tratta dal documento originale della Dia

Favorita dalla sua estensione, dalla collocazione geografica e dalla presenza di importanti scali aerei e vie di comunicazione, la Lombardia rappresenta uno tra i principali snodi del vecchio continente per i maggiori traffici illeciti transnazionali. Inevitabilmente, in considerazione delle peculiarità appena enunciate, la regione esercita un forte richiamo per le organizzazioni criminali nazionali e straniere, all’occorrenza alleate tra loro. Gli indicatori più recenti sul benessere della regione fanno registrare un tasso di occupazione (72,6%) superiore quello del dato medio nazionale (63%), mentre il  dato relativo alla retribuzione media annua, nella provincia di Milano, di un lavoratore dipendente sfiora i 30 mila euro, cioè il 36,4% più alto rispetto al resto del Paese.

È in questo contesto che la criminalità organizzata è stata capace di integrarsi nell’economia legale, inquinando il sistema economico, facendo anche leva su professionisti compiacenti e sulla corruzione per infiltrare la Pubblica Amministrazione. Nel tempo, la sottovalutazione del fenomeno, ha sicuramente contribuito a una maggiore diffusione dell’illegalità in taluni ambiti produttivi e dei servizi del territorio lombardo. Sintomatico, in tal senso, quanto accaduto nel secondo semestre del 2019, con riferimento ai diversi episodi di corruzione registrati nella Regione, non tutti riconducibili a contesti di criminalità organizzata. È il caso dell’inchiesta “Leonessa” della DDA di Brescia che ha svelato, tra l’altro, un giro di tangenti che ha coinvolto alcuni appartenenti alla pubblica amministrazione, indagati per corruzione, fra i quali due dipendenti dell’Amministrazione Finanziaria.

I reati di tipo corruttivo ed economico sono ormai divenuti strumento essenziale dei sistemi delinquenziali più evoluti. Nella regione, anche figure criminali singole o comunque non inserite in contesti mafiosi tendono a mutuare, in talune circostanze, condotte caratterizzate quantomeno dalle modalità mafiose. Con l’affacciarsi di nuove classi criminali sono profondamente mutati i caratteri topici del mafioso, rispetto ai modelli radicati nell’immaginario collettivo, risultando sfumata la forza intimidatrice quale elemento costitutivo del reato di associazione di tipo mafioso.

La forza della mafia attualmente si manifesta perlopiù attraverso un comportamento, un metodo – quello mafioso – che si avvale della complicità di figure inserite in ambiti economici ed amministrativi, in una complessa zona d’ombra in cui si configurano nuovi modelli associativi imperniati su una fitta convergenza di interessi. Le operazioni di polizia eseguite nel semestre, così come gli esiti di importanti inchieste giudiziarie, nonché il monitoraggio delle attività imprenditoriali operato dai Gruppi Interforze istituiti presso tutte le Prefetture della Regione, forniscono elementi di conoscenza utili per comprendere il livello di radicamento del fenomeno mafioso sul territorio regionale.

Il quadro di analisi che ne scaturisce evidenzia un’elevata infiltrazione mafiosa nel tessuto imprenditoriale, nel settore degli appalti pubblici e nel rilascio delle autorizzazioni, licenze e concessioni pubbliche. Tra i settori interessati figurano la ristorazione, le costruzioni, i rifiuti, la guardiania, il trasporto di merci, le autodemolizioni e il commercio di auto. Osservando anche i dati relativi ai beni sequestrati e confiscati nella regione5, pubblicati dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati – ulteriore indicatore della pressione criminale comune e organizzata – la Lombardia si attesta in una posizione rilevante nella classifica nazionale. Questa si colloca, infatti, al quarto posto per numero di immobili confiscati, con 3.036 unità, dopo la Sicilia (12.552), la Campania (4.982) e la Calabria (4.744), mentre è al quinto posto per numero di aziende (358), dopo Sicilia (1.305), Campania (797), Calabria (493) e Lazio (524).

Stando alle evidenze giudiziarie del 2° semestre 2019, in Lombardia l’azione di contrasto ha riguardato prevalentemente la ‘ndrangheta, che da alcuni anni rappresenta la più insidiosa organizzazione criminale. Il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti si conferma il principale canale di arricchimento, nel quale trovano occupazione, a vari livelli, operatori di diverso spessore delinquenziale e di varie nazionalità, anche non collegati alla criminalità organizzata. La Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, nell’ultimo Rapporto annuale pubblicato nel 2019, ha evidenziato che, nel 2018, le operazioni in Lombardia, corrispondenti al 16,02% del totale nazionale e con un incremento del 13,52% rispetto al 2017, sono state 4.098. Le persone denunciate sono state 5.020, delle quali 3.341 in stato di arresto. Gli  italiani segnalati sono stati 2.000 e gli stranieri 3.020. Il 4,10% dei casi perseguiti hanno riguardato l’associazione finalizzata al traffico di droga e il 95,90% il reato di traffico e spaccio. In provincia di Milano è stato registrato il 59,20% delle operazioni antidroga svolte sul territorio regionale, il 7,76% a Brescia, il 7,05% a Varese, il 5,69% a Bergamo, il 5,3% a Monza/Brianza, il 4,71% a Como, l’1,95% a Pavia, l’1,90% a Sondrio, l’1,81% a Lodi, l’1,71% a Lecco, l’1,61% a Mantova e l’1,59% a Cremona.

Sono state numerose le operazioni antidroga, anche quelle non direttamente ascrivibili a matrici criminali organizzate nazionali o straniere. Ne sono esempio le operazioni “The Wall” e “Red Carpet 2” della DDA di Milano. Con l’operazione “The Wall” del 17 ottobre 2019, la Polizia di Stato e i Carabinieri, nelle province di Milano, Monza e Brianza e Savona, hanno arrestato quattro italiani e indagati altri due per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Questi, tra l’agosto e settembre del 2018, avrebbero importato dal Marocco circa kg. 1.100 di hashish, poi nascosti in un box nel capoluogo meneghino. Le operazioni di importazione dell’hashish erano effettuate via mare con l’utilizzo di uno yacht battente bandiera olandese. Tra i componenti del clan figurano due skipper di professione con precedenti specifici, uno dei quali colpito, il 3 dicembre 2019, per fatti richiamati nell’indagine “Double Game” (agosto 2018), da un decreto di sequestro di beni eseguito dalla DIA a Bologna, a Milano, Monza e Bergamo. Il provvedimento ha riguardato 11 immobili, tra fabbricati e terreni, 3 automezzi, oltre a diversi rapporti bancari, per un valore complessivo di oltre 1,5 milioni di euro. Altri 8 soggetti sono stati arrestati, il 28 ottobre 2019, nell’ambito dell’operazione “Red Carpet 2”, dalla Polizia di Stato per traffico di cocaina e per attività di spaccio nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro e nel comune di Bollate ove, tra il 2012 e il 2017, avrebbero piazzato grossi quantitativi di stupefacente, forniti da un grossista, figura di primo piano tra i trafficanti di droga dell’hinterland milanese. L’attività investigativa si è incentrata sull’operatività di due associazioni criminali interconnesse, operanti nei quartieri milanesi Comasina e Bruzzano.

Criminalità organizzata calabrese

Le risultanze investigative e giudiziarie intervenute nel semestre sottolineano ancora una volta l’immagine di una ‘ndrangheta tendenzialmente silente, ma più che mai viva nella sua vocazione affaristico imprenditoriale. Condotte che trovano una conferma anche nel numero di provvedimenti interdittivi antimafia adottati dalle Prefetture nei confronti di ditte in odore di ‘ndrangheta, operanti in svariati settori commerciali, produttivi e di servizi: dalle costruzioni edili alla raccolta di materiali inerti, dal commercio di veicoli ed automezzi al settore nautico, dai servizi di ristorazione, bar e balneazione al trasporto di merci su strada ecc. Importanti inchieste degli ultimi anni, infatti, hanno fatto emergere la tendenza di un’inversione delle modalità di avvicinamento, rilevando come, di frequente, alcuni esponenti dell’imprenditoria o del mondo delle istituzioni abbiano ricercato e si siano rivolti a membri delle consorterie ‘ndranghetiste, per massimizzare i propri profitti o per i vantaggi nelle tornate elettorali.

In territorio lombardo, particolarmente significativa per le commistioni tra il mondo politico-imprenditoriale locale e le espressioni mafiose di matrice calabrese è risultata l’indagine “Krimisa”, conclusa il 4 luglio 2019 dai Carabinieri che ha confermato l’operatività di un gruppo criminale ndranghetista, che stava tentando di realizzare alcuni reinvestimenti con l’appoggio di esponenti della politica locale. L’operazione “Nuovo Mondo”, conclusa l’8 ottobre 2019 e coordinata dalla Procura della Repubblica di Como, ha svelato l’esistenza di un sodalizio, gestito da un professionista – contiguo ad esponenti della ‘ndrangheta – che realizzava ingenti profitti attraverso la commissione di reati fiscali collegati a cooperative attive nel settore delle pulizie e del facchinaggio.

Nell’operazione “Mensa dei poveri”,  il  7  maggio  2019  i Carabinieri e la Guardia di finanza hanno eseguito in Lombardia ed in Piemonte 43 ordinanze di custodia cautelare nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla DDA milanese concernente due gruppi criminali operativi tra Milano e Varese. I due gruppi erano costituiti da esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori, accusati di associazione per delinquere aggravata dall’aver favorito un’associazione di tipo mafioso, corruzione e turbata libertà degli incanti, finalizzati alla spartizione e all’aggiudicazione di appalti pubblici, evidenziando una sinergia tra talune cosche di ‘ndrangheta  come i Molluso di Corsico, collegati al clan Barbaro-Papalia ed alcuni imprenditori di Cesano Boscone.

Da segnalare, altresì, i riflessi, nella provincia di Mantova, dell’operazione “Cerbero” della DDA di Torino che, il 7 novembre 2019, si è conclusa con l’arresto di numerosi indagati che devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa e traffico internazionale di ingenti quantità di stupefacenti, provenienti dal Brasile, con l’aggravante della finalità mafiosa. I proventi del traffico venivano reimpiegati, tra l’altro, anche nel noleggio di slot machine e nel gioco d’azzardo. Per eludere i controlli, le aziende erano intestate fittiziamente a diversi prestanome.
 
A fine anno si sono concluse, con riflessi più o meno evidenti sul territorio, altre cinque inchieste, sempre incentrate sulla commissione, da parte di indagati contigui o vicini adambienti ‘ndranghetisti, di reati di tipo economico-finanziario, collegati anche al traffico illecito di rifiuti: l’operazione “Amleto Tourlè” della Dda di Milano, l’operazione “Hope” della Dda di Brescia , l’operazione “Pay to Live” della Procura della Repubblica di Brescia, l’operazione “Magma” della DDA di Reggio Calabria e l’operazione “Infectio” della Dda di Catanzaro.   

Di particolare rilievo, nel semestre, è risultato il ssequestro dei patrimoni illeciti sviluppata nei Distretti della Corte di Appello di Milano e Brescia. Il 22 ottobre 2019, il Tribunale di Reggio Calabria ha emesso due distinti decreti di sequestro nei confronti di un pregiudicato di origine calabrese, che hanno riguardato un immobile, quattro box, un auto di lusso, sei società e un esercizio pubblico con licenza di tabacchi, oltre a diversi conti correnti, per un ammontare di circa tre milioni di euro. L’uomo, residente a Garbagnate Milanese e legato alla cosca Morabito- Bruzzaniti-Palamara, aveva già scontato una pena di nove anni per associazione finalizzata al traffico di droga, figurando come dipendente di una delle società sottoposte a sequestro.

Il 9 dicembre 2019 la Corte d’Appello di Brescia ha rigettato il ricorso presentato da un imprenditore edile contro un decreto di sequestro e confisca, emesso dal locale Tribunale di Brescia nel luglio 2018, su proposta del Direttore della DIA, che aveva riguardato quote di  una  società  unitamente  al  complesso  immobiliare  detenuto  dall’azienda,  pari  a  48 immobili in provincia di Mantova, 11 in provincia di Crotone e ulteriori 7 di proprietà dell’imprenditore e dei suoi familiari, nonché un’autovettura e numerosi rapporti finanziari, per un valore complessivo superiore ai 5 milioni di euro.

L’originario provvedimento era scaturito da indagini svolte dalla DIA e dai Carabinieri, coordinati dalla Dda bresciana, che avevano dimostrato la pericolosità sociale dell’imprenditore. Questi, infatti, è risultato in contatto con la cosca Grande Aracri, non solo in relazione ai gravi fatti di usura per i quali era stato condannato in via definitiva nel 2013, ma soprattutto per la sua accertata contiguità alle cosche ‘ndranghetiste insediatesi nella Lombardia orientale, rilevata nell’ambito dell’operazione “Pesci”, in cui venne peraltro condannato, in secondo grado, alla pena di 2 anni, per favoreggiamento personale.
 
In Lombardia la ’ndrangheta controlla il territorio attraverso la presenza di 25 locali. Le indagini hanno evidenziato la presenza di numerose locali di ‘ndrangheta nelle province di Milano (locali di Milano, Bollate, Bresso, Cormano, Corsico, Pioltello, Rho, Solaro-Legnano), Como (locali Erba, Canzo-Asso, Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco – Cermenate), Monza-Brianza (locali di Monza, Desio, Seregno, Lentate sul Seveso, Limbiate), Lecco (locali di Lecco e Calolziocorte), Brescia (locale di Lumezzane), Pavia (locali di Pavia e Voghera) e Varese (Lonate Pozzolo).

Mafia siciliana

La criminalità siciliana, apparentemente meno “visibile”, non è per questo da ritenersi meno influente di quella calabrese per importanza e per capacità di penetrazione. Nel mese di settembre sono stati eseguiti numerosi provvedimenti restrittivi, disposti nell’ambito di due inchieste collegate: l’operazione “Leonessa” della Dda di Brescia e l’operazione “Stella cadente” della Dda di Caltanissetta, nei confronti di esponenti di cosa nostra e della stidda. Le indagini confluite nell’operazione “Leonessa” hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati di duecento persone, nonché all’emissione di settantuno misure cautelari nell’ambito di una vasta indagine che ha interessato la Lombardia, il Piemonte e la Liguria. Nel territorio bresciano è emersa la presenza di un gruppo costituito da elementi riconducibili, in parte ad una matrice stiddara ed in parte a Cosa nostra, con una propria autonomia funzionale, organizzativa ed operativa. Si tratta di una organizzazione criminale che ha fatto affari con l’imprenditoria locale che praticava la compravendita di crediti fittizi per indebite compensazioni Iva, secondo lo schema collaudato che prevede l’asservimento di imprenditori e professionisti.
 
Nel semestre è proseguita l’azione di sequestro di patrimoni illeciti sviluppata nei Distretti della Corte di Appello di Milano e Brescia. Il 7 ottobre 2019 la Guardia di finanza, nell’ambito di un procedimento di prevenzione a carico di un commercialista, che nell’anno 2017 era stato coinvolto, a più riprese, nell’operazione antimafia della DDA di Milano denominata Securit, accusato, tra l’altro, di autoriciclaggio. Il provvedimento ha riguardato beni immobili e mobili (tra cui quote societarie, rapporti bancari e finanziari) per un valore complessivo pari a 16 milioni di euro.

Il 19 novembre 2019, i Carabinieri hanno arrestato di due persone di origine siciliana, ritenute responsabili, in concorso, di un omicidio, commesso a Cernusco sul Naviglio il 16 ottobre 2019. Il presunto mandante dell’omicidio, è un importante narcotrafficante considerato il referente dei corleonesi a Milano negli anni ’80 dello scorso secolo, nonché coinvolto, a vario titolo, in diverse operazioni condotte da vari organi di polizia negli anni ‘90, fra cui quelle denominate “Mozart” (Guardia di finanza), “Africa” (Carabinieri), “Shuto” ed “Emporium” (Dia).

In ultimo, il 19 dicembre 2019, nelle province di Pavia e Savona, la Dia ha eseguito il sequestro di dieci immobili, del valore complessivo di un milione e settecentomila euro, nei confronti di un pluripregiudicato ben inserito nel tessuto criminale locale ed espressione pavese di alcune realtà mafiose, tra cui quella del clan palermitano CIULLA-GUZZARDI, senza trascurare il suo ruolo di fiancheggiatore della cosca ‘ndranghetista ACRI-MORFÒ di Rossano Calabro (CS), come emerso dalle attività investigative condotte dai Carabinieri nel 2013 17 . Il provvedimento scaturisce da una proposta di applicazione di misura di prevenzione patrimoniale formulata dal Direttore della DIA il 5 agosto 2019.

La camorra

Analoghe considerazioni espresse per la criminalità siciliana sono da estendere alla criminalità organizzata campana che ha fatto registrare, nel mese di novembre, l’esecuzione di numerosi provvedimenti restrittivi, da parte dei Carabinieri di Milano, delegati dalle Dda di Napoli e di Milano. Le misure cautelari emesse nell’ambito delle operazioni denominate “Condor” e “Condor 2”, hanno riguardato un gruppo malavitoso, con base operativa anche in questa regione, che, oltre alle numerose truffe commesse ai danni di anziani, è accusato di aver agito con le modalità mafiose ex art. 416 bis.1 c.p., per aver favorito il clan napoletano Contini.

Con la successiva operazione “Condor 2” del 18 novembre 2019, sempre i Carabinieri hanno eseguito un ulteriore provvedimento cautelare nei confronti di cinque persone, anche loro indagate (unitamente ad altra persona per la quale si è proceduto separatamente) per associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di truffe ai danni di anziani. Costoro si avvalevano di una struttura organizzata, dotata di una precisa ripartizione di ruoli e funzioni, che aveva stabilito la sua base presso l’abitazione di una famiglia partenopea stanziata a Melegnano.

Un’ulteriore indagine, coordinata dalla DDA di Bologna, ha visto coinvolti, il 10 dicembre 2019, fra l’Emilia, la Lombardia e la Campania, diversi soggetti di origine campana. L’operazione, denominata “Ocean’s Eleven”, ha consentito ai Carabinieri di arrestare 11 persone, ritenute responsabili di concorso in un tentativo di sequestro di persona a scopo di estorsione, da commettere in provincia di Milano ai danni di un imprenditore attivo nel settore informatico, residente in centro a Bologna e con uffici commerciali anchea Milano. Fra i componenti della banda figurano persone riconducibili o comunque contigue ad ambienti camorristici, in particolare al clan FORMICOLA, attivo nel quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio.

L’apparente minor peso criminale della camorra nella regione è verosimilmente da rapportare ad una pianificazione strategica più accorta, meno ostentata di quella di altre organizzazioni criminali, soprattutto riguardo alla penetrazione nell’imprenditoria legale e al reinvestimento di proventi illeciti. Infatti, a differenza di quanto avviene nei territori di origine, in Lombardia la criminalità campana, come del resto quella siciliana, tende ad evitare manifestazioni violente, proprio per non attirare su di sé l’attenzione investigativa.

La mafia pugliese

La criminalità di origine pugliese, prevalentemente attiva nel traffico di stupefacenti, di armi e nei reati contro il patrimonio, denota livelli di infiltrazione di minore rilievo. Sono frequenti, invece, le “incursioni” di gruppi criminali, non proprio riconducibili alla criminalità mafiosa, indirizzate al compimento, oltre che di reati in materia di stupefacenti e armi, anche alle estorsioni e alla commissione di rapine ai danni di caveau, depositi o furgoni blindati. Il 21 ottobre 2019, personale della Guardia di finanza ha tratto in arresto un ricercato di Cerignola, residente a Vimercate, in esecuzione di un ordine di esecuzione pena, dovendo scontare una condanna definitiva ad anni 5 e mesi 6 di reclusione per reati concernenti gli stupefacenti. L’uomo era stato arrestato e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari a fine 2014, nell’ambito dell’operazione “Gold & Camel” della Dda di Bari, con l’accusa di essere il referente lombardo di un sodalizio criminale contiguo alla criminalità organizzata foggiana, per l’approvvigionamento di grossi quantitativi di stupefacente.

Gli ecoreati

Di particolare attualità risulta, in Lombardia, la tematica riguardante la diffusione degli “eco-reati”. Resta, infatti, alta l’attenzione investigativa verso i numerosi casi incendiari di depositi di stoccaggio rifiuti – alcuni di notevoli dimensioni – registrati sin dal 2014 ed intensificati tra il 2017 ed il 2018, in diverse province (Milano, Pavia, Cremona). Ad essere interessati anche depositi di rottami ferrosi, rifiuti industriali, carta da macero, autodemolizioni e ditte di autotrasporto.

Le Forze di polizia e gli organi di controllo, statali e locali, hanno incrementato le ispezioni, anche a seguito delle numerose segnalazioni di privati cittadini, mentre gli esiti  delle indagini sottolineano una situazione in cui i profili criminali si intrecciano con condotte spregiudicate poste in essere non solo da “specialistiche” compagini delinquenziali, ma anche da professionisti e da imprenditori privi di scrupoli verso l’ambiente.  Spiccano, in tale contesto, gli esiti dell’operazione “Feudo” del 7 ottobre 2019, nelle province di Milano, Lodi, Pavia, Torino, Napoli, Reggio Calabria e Catanzaro, coordinata dalla Dda di Milano e svolta dai Carabinieri Forestali con l’esecuzione di un provvedimento cautelare nei confronti di 11 persone (2 in carcere e 9 agli arresti domiciliari, tra cui due donne), componenti di un’associazione per delinquere ritenuta responsabile di aver smaltito illegalmente circa 14 mila tonnellate di rifiuti nel 2018, conseguendo un profitto ammontante a circa 1,7 milioni di euro, 780 mila circa dei quali sequestrati dalla Guardia di finanza.
Le indagini hanno documentato una ulteriore inversione della rotta dei traffici di rifiuti che da essere sversati (e, all’occorrenza dati alle fiamme) in capannoni dismessi in Brianza, nel comasco e nel milanese (Varedo, Gessate e Cinisello Balsamo) ma anche in provincia di Trento, sono stati dirottati verso la Calabria e tombati in una cava del lametino.

L’indagine costituisce la prosecuzione dell’inchiesta “Fire Starter”, che aveva portato, nell’ottobre del 2018, all’arresto di 6 soggetti responsabili di un traffico di rifiuti stoccati in un capannone di Corteolona (Pv), colpito dal gravissimo rogo del 3 gennaio 2018.   La banda aveva messo in piedi un collaudato sistema che si occupava di accumulare rifiuti, provenienti anche dalla Campania, all’interno capannoni abbandonati nel Nord Italia.  Un’organizzazione criminale capeggiata da due soggetti di origine calabrese, uno dei quali figlio di un esponente della locale di Milano coinvolto nell’operazioni “Infinito” della Dda di Milano (luglio 2010), che si è inserito in un’azienda in gravi difficoltà economiche.

L’uomo, attraverso una complessa struttura basata su gestori di impianti autorizzati complici, trasportatori campani compiacenti, società fittizie intestate a prestanome e falsa documentazione, gestiva un ingente traffico di rifiuti urbani e industriali provenienti da impianti campani (in perenne condizione di “sovraccarico”). Attraverso una vorticosa serie di “passaggi” tra impianti a volte reali a volte fittizi, i rifiuti finivano, come detto, in capannoni abbandonati in diverse aree industriali del Nord Italia e in Calabria.

L’indagine registra – come spesso accade in questi casi – la complicità di una professionista del settore, laureata in chimica, con il ruolo di consulente ambientale per il capo del sodalizio. La donna era pienamente consapevole dell’illiceità della sua azione nella falsificazione dei documenti: “Il gioco deve valere la candela. Deve valere abbastanza da far campare bene me e mio figlio nel caso io finissi in galera”.
Un  ulteriore  inchiesta  ha  portato  all’esecuzione,  il  28  novembre  2019,  da  parte  dei Carabinieri del Noe di Brescia, di un’ordinanza di custodia cautelare per traffico illecito di rifiuti emessa dal Gipdel Tribunale di Brescia. A Casaloldo (MN) e Roverbella (MN), oltre che nel bresciano (Soiano del Lago) erano stati stivati complessivamente 2.300 tonnellate di scarti tessili provenienti dall’area di Prato, successivamente abbandonati in capannoni industriali dismessi, con un forte risparmio sugli smaltimenti.

È stata rilevata, nel semestre, anche la presenza sul territorio lombardo di sodalizi stranieri coinvolti nel traffico di rifiuti pericolosi. Il 24 novembre 2019, i Carabinieri hanno disarticolato, in provincia di Brescia, un gruppo criminale multietnico, composto da cittadini ghanesi e pakistani, con ramificazioni internazionali, dedito al traffico illecito di rifiuti pericolosi. Si trattava, nello specifico, di scarti elettronici, metallici e plastici raccolti a Brescia e depositati in un’area locata a soggetti pakistani, titolari di una ditta di trasporti, che, una volta stoccati, venivano trasferiti con container anonimi, accompagnati da documentazione alterata, al porto di Genova da dove raggiungevano, via mare, il Senegal, la Nigeria e il Ghana.

Tutte le indagini hanno ulteriormente dimostrato quanto possa essere lucrosa l’attività legata allo smaltimento di rifiuti, a fronte dello scarso effetto deterrente generato dalla vigente normativa per una serie di reati che prevedono  pene irrisorie. Il 2 settembre 2019, tra Varese, Torino e Crotone, nonché in territorio elvetico (Lugano), la DIA ha eseguito la confisca del patrimonio immobiliare, nonché di due quote societarie e due rapporti finanziari, per un valore complessivo di circa 4,5 milioni di euro, nei confronti di due fratelli, imprenditori campani residenti a Fagnano Olona (Va), pluripregiudicati, di cui uno latitante, ben radicati nel contesto criminale lombardo, assurti agli onori delle cronache quali veri e propri ras dei rifiuti, per la loro specializzazione nella gestione di discariche abusive e dei relativi traffici illeciti.

Mafia Nigeriana

Le organizzazioni criminali straniere hanno assunto, negli ultimi anni, una pericolosità per molti versi paragonabile a quella delle mafie nazionali. La loro forza risiede in una concreta bivalenza: da un lato sono parte di network criminali internazionali; dall’altro si collocano come terminali delle attività illecite, gestendo direttamente lo spaccio di stupefacenti e la prostituzione. Emblematico, in proposito, è il caso dei sodalizi nigeriani che, proprio grazie a una struttura piramidale, alla coesione che gli deriva da una componente mistico-religiosa e ad una estesa ramificazione internazionale, hanno tracciato delle vere e proprie “vie illegali” sulle quali far transitare, indistintamente, stupefacenti, armi e esseri umani sfruttati.

Il settore in assoluto più remunerativo si conferma quello degli stupefacenti dove si evidenzia un elemento di novità: è acclarato il coinvolgimento dei criminali nigeriani nel traffico di shaboo, sostanza di sintesi ritenuta, sino a poco tempo fa, esclusivo appannaggio della criminalità cinese (per l’approvvigionamento) e filippina (per lo spaccio ai consumatori finali). Nel traffico e nello spaccio di stupefacenti i nigeriani agiscono con capacità operative di elevato livello, sia per la possibilità di approvvigionamento della sostanza nei mercati di produzione, sia per distribuzione al dettaglio, costituita da una capillare rete di pusher. L’elemento di maggiore novità di questo ultimo periodo è, come già detto, costituito dall’emersione della loro operatività nello spaccio di shaboo.

Nel 2° semestre 2019, ma già nella prima metà dell’anno, erano stati avvertiti alcuni segnali: diverse attività repressive delle Forze di polizia hanno portato al sequestro31 di quantitativi superiori ai 10 grammi, circostanza che, unitamente ad altri indicatori, fa ritenere che i pusher nigeriani possano approvvigionarsi della sostanza da fornitori differenti da quelli utilizzati  dai  trafficanti cinesi. Il 7 ottobre 2019, è stata eseguita dai Carabinieri di Como un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 5 filippini e di 1 nigeriano per traffico e detenzione illecita di tale stupefacente, che veniva spacciato in Brianza e a Modena. Significativo il fatto che, come emerso dalle indagini, gli spacciatori filippini si interrogassero su quali fossero i “grossisti” cui rivolgersi, informandosi se a smerciare lo shaboo fossero “i gialli oppure i neri”.

Con l’operazione “Push on Board” del 9 settembre 2019 la Polizia di Stato ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 3 cittadini nigeriani (due donne ed un uomo), ritenuti responsabili di tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. L’indagine ha permesso di individuare, nel bresciano, i terminali di un’organizzazione, con base in Libia e Nigeria, che avrebbe favorito l’ingresso di giovani donne da avviare alla prostituzione. Le vittime, reclutate presso villaggi nigeriani, venivano fatte transitare per i centri di detenzione libici e poi fatte giungere in Italia a bordo dei cd. “barconi”. Dopo aver trascorso un periodo sufficiente per la presentazione della richiesta di asilo presso le strutture di prima accoglienza, le donne venivano fatte allontanare dalla struttura e poste sotto il diretto controllo delle maman, che le costringevano a prostituirsi in strada sotto la minaccia di malefici (cd. riti magici). Le malcapitate erano costrette a consegnare alle loro sfruttatrici somme fino a 20/30 mila euro, quale risarcimento del debito assunto per il viaggio in Italia.

Mafia cinese

La prostituzione cinese continua a manifestarsi con le note modalità che connotano quell’etnia, ovvero in assenza di violenza e vessazioni, ma con il coordinamento tra prostitute ed intermediari, funzionale al reciproco business. Il fenomeno migratorio illegale di origine cinese, benché in carenza di evidenze giudiziarie, è verosimilmente attuato con l’utilizzo di documenti contraffatti (spesso passaporti giapponesi, di Singapore o di Hong Kong) o con l’applicazione sui passaporti cinesi di visti di ingresso per l’area Schengen contraffatti.

Anche lo sfruttamento del lavoro rientra tra le forme di attività illegali praticate dalla criminalità cinese. Al riguardo, il 26 settembre 2019, in provincia di Mantova, i Carabinieri hanno arrestato, in flagranza di reato, 2 cinesi, madre e figlio, titolari di un laboratorio tessile e ritenuti responsabili di sfruttamento di manodopera. All’interno dell’opificio venivano impiegati connazionali, alcuni dei quali senza permesso di soggiorno ed in assenza di contratto. Significativo il fatto che l’attività del laboratorio fosse stata organizzata dai titolari in maniera tale da poter essere gestita da casa, a circa 2 km di distanza, per poter così sfuggire ai controlli.

Esattamente un mese dopo, il 26 ottobre, in provincia di Mantova, i Carabinieri hanno arrestato 2 cinesi titolari di un laboratorio di confezionamento, ritenuti responsabili di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo. Nella circostanza sono stati sequestrati macchinari e merce di lavorazione, per un valore complessivo di circa 70 mila euro. Allo stesso modo, il 6 dicembre 2019, ancora nel mantovano, i Carabinieri hanno arrestato in flagranza di reato 2 cinesi titolari di una ditta di confezionamento, ritenuti responsabili di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo. Anche in questo caso si è proceduto al sequestro di macchinari e di merce, per un valore di circa 100 mila euro.

La movimentazione transnazionale di denaro provento delle attività illecite assume un ruolo fondamentale nell’economia criminale cinese. Tuttavia l’analisi dimostra che le rimesse di denaro verso l’estero da parte delle comunità cinesi in Italia stanno subendo una progressiva, forte diminuzione. Ciò potrebbe essere indicativo dell’utilizzo di canali di trasferimento alternativi, non tracciabili, quali i circuiti delle monete virtuali, delle chat, delle app telefoniche e delle carte prepagate, ma anche mezzi più semplici, come i “trasportatori di valuta” (c.d. spalloni).

Mafia albanese

I sodalizi dell’area balcanica continuano la propria attività prevalentemente nel traffico di sostanze stupefacenti, nello sfruttamento della prostituzione e nei reati predatori. Sono questi settori criminali in cui i sodalizi albanesi operano – sia nel distretto della Corte d’Appello di Milano che in quello di Brescia – da attori principali grazie a diversi fattori: la loro capillare presenza, gli elevati standard operativi e la notevole disponibilità di mezzi e risorse economiche. Ad agire nelle aree di sedimentazione, dove il fenomeno è di difficile eradicazione, sono professionisti del crimine o individui senza specifici precedenti, la cui appartenenza al gruppo di riferimento è, non di rado, di tipo familistico. La parentela rafforza il vincolo di appartenenza e di aggregazione tra i membri delle autonome e separate compagini in cui, oltre all’omertà, vigono ferree regole di comportamento e di solidarietà .

A caratterizzare la pericolosità dei gruppi, in particolare quelli più organizzati che si pongono a monte della “filiera droga”, sono la violenza e le azioni di forza. Per tutelare i loro interessi ricorrono, occasionalmente all’uso di armi da fuoco, comuni e da guerra. Chi non paga regolarmente le forniture viene intimidito con pressioni anche di tipo estorsivo. Il 1° luglio 2019, la Polizia di Stato di Milano ha tratto in arresto gli otto componenti di un sodalizio albanese, per la maggior parte membri della famiglia Tetaj, e, per lo più, originari di Lezhe (Albania), attivi nello sfruttamento della prostituzione e nel traffico di sostanze stupefacenti. A cinque degli indagati sono stati sequestrati beni nella loro disponibilità e la somma di 700mila euro, in quanto provento della vendita di 20 chili di cocaina ceduta, nella seconda metà del 2017, a pusher di fiducia attivi nelle piazze di spaccio di Vimodrone (MI), Abbiategrasso (MI), frazione Mantegazza di Vanzago (MI), Merone (LC) e Monguzzo (CO). L’attività illecita, realizzata utilizzando veicoli con sottofondi per il trasporto della cocaina e impiegando, per il suo stoccaggio, basi a Vimodrone (Mi) e Soresina (Cr), risulta finanziata anche con i proventi dell’attività di prostituzione esercitata a Monza, Arluno (Mi) e Pantigliate (Mi) da donne romene, moldave e bulgare.

Anche con l’operazione “B Square”, nel cui ambito, il 20 settembre 2019, la Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Como, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 8 cittadini albanesi e di un cittadino greco, è stata accertata l’esistenza di un’organizzazione criminale operante nella zona di Mariano Comense (Co), i cui appartenenti sono stati indagati per i reati di detenzione e traffico di ingenti quantitativi di cocaina ed eroina, nonché un revolver con matricola abrasa, due pistole mitragliatrici e una pistola semiautomatica. La forza del gruppo criminale, oltre che dallo stretto legame di parentela, si è estrinsecata nella capacità di esercitare un vigile e costante controllo delle proprie attività illecite, nonché di avere contatti diretti con “fornitori” dimoranti in Olanda, riuscendo pertanto ad importare ingenti quantitativi di droga a prezzi relativamente vantaggiosi.

Il 10 ottobre 2019, nell’ambito dell’operazione “Sotto sopra”, la Guardia di finanza ha eseguito una misura cautelare nei confronti di 14 indagati, disarticolando due gruppi criminali albanesi operanti a Bergamo e Brescia, dediti al traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Nel corso dell’attività, che ha consentito di arrestare, complessivamente, 32 persone, sono stati sequestrati kg. 157 di droghe, tra cocaina, hashish e marijuana, importate dall’Albania, dalla Spagna e dall’Olanda. Il 4 dicembre 2019 i Carabinieri di Verolanuova (BS) hanno disarticolato un gruppo criminale italo-albanese dedito al  traffico/spaccio  di  cocaina  nella bassa bresciana. Lo stupefacente, smerciato al dettaglio da una barista di Gottolengo (BS) con precedenti specifici, risulta fornito tra il 2016 e il novembre 2018 da un pluripregiudicato albanese. Tra gli indagati risultano due italiani utilizzati come manovalanza; uno di costoro, dopo aver patito pesanti e ripetute richieste estorsive da parte dei delinquenti albanesi perché incolpato della perdita di kg. 2 di cocaina si era adoperato nello spaccio nel loro interesse per estinguere il suo debito.

Altrettanto rilevante l’operazione “Romano 2017” conclusa dai Carabinieri con la collaborazione della polizia albanese, il 9 dicembre 2019, con l’arresto per traffico e spaccio di stupefacenti di tredici albanesi, quattro marocchini, un tunisino e un italiano. Nel corso dell’operazione sono stati altresì sequestrati kg. 24 di cocaina, gr. 500 di eroina, una pistola calibro 7,65 con 8 proiettili nel caricatore e 300.000 euro in contanti. L’indagine, avviata sulla base delle dichiarazioni rese da uno dei marocchini indagati, ha riscontrato l’esistenza nella bassa bergamasca di due compagini albanesi, ben organizzate nell’importazione e la cessione di ingenti quantitativi di cocaina. Una delle due consorterie, il cui capo risiedeva in Albania, importava la cocaina dall’Olanda, via Germania e Francia, a mezzo di veicoli appositamente modificati e condotti da corrieri di nazionalità tedesca o francese. Il provento del traffico sarebbe stato trasferito in Albania per finanziare l’acquisto di altre partite di droga e per essere verosimilmente reinvestito in diverse attività, alcune di copertura.

I proventi illeciti di tali crimini, oltre ad essere reinvestiti in Patria nello sviluppo di assets strategici come edilizia e turismo, sono destinati all’acquisto di eroina di provenienza asiatica e di cocaina dalla Colombia. Anche se l’attività dei sodalizi albanesi è concentrata in via prevalente nel traffico e nello spaccio di stupefacenti, non sono stati abbandonati altri ambiti criminali, quali la tratta di esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione, dai quali le organizzazioni traggono ingenti profitti che vengono, spesso, reinvestiti proprio nella droga. A titolo di esempio si cita l’operazione “Orifinde”, con la quale nel luglio 2019 la Polizia di Stato ha eseguito un provvedimento di custodia cautelare emesso nei confronti degli appartenenti ad un clan albanese  che oltre a gestire un traffico di sostanze stupefacenti provenienti dall’Olanda, controllava un giro di prostituzione in Lombardia.

Si conferma, inoltre, la tendenza della criminalità albanese alla commissione di reati di tipo predatorio, quali furti e rapine. Il fenomeno è caratterizzato dall’operatività di bande criminali che agiscono depredando abitazioni, ville, centri commerciali, bancomat ed uffici postali, anche con metodi violenti e talvolta con la cooperazione di pregiudicati italiani e di altre nazionalità. Il 27 luglio 2019, nell’ambito dell’operazione “Case Sicure”, i Carabinieri hanno eseguito un provvedimento di fermo nei confronti di 17 albanesi indiziati, a vario titolo, di tentato omicidio, furto in abitazione, ricettazione e detenzione illegale di armi e munizioni. I fermati, pregiudicati e senza fissa dimora, appartenevano a 3 distinti gruppi criminali, e sono ritenuti gli autori di 57 furti nelle province di Milano, Monza e Brianza, Brescia, Como, Cremona, Lecco e Varese. Gli indagati, pur operando in aree diverse, ricorrevano, quando necessario, al mutuo soccorso per integrare gli organici delle singole bande.

Mafia pakistana

Ma non solo africani: il 10 dicembre 2019, nell’ambito dell’operazione “Pakistan 2019”, la Polizia di Stato e la Polizia di Frontiera francese, con l’ausilio di Europol, hanno disarticolato una rete criminale formata da cittadini pakistani, dedita a favorire l’ingresso illegale di connazionali, cittadini indiani e bengalesi in diversi Stati europei. Nel corso delle attività sono stati eseguiti 8 fermi di indiziato di delitto e 2 mandati di arresto europeo, nelle province di Torino, Alessandria, Bergamo, Treviso e Trento. A Bergamo è stato anche scoperto un appartamento (cd. Safe House), al cui interno vi erano 20 cittadini pakistani in procinto di partire per il nord Europa. Il sodalizio criminale, radicato in Piemonte e Lombardia con ramificazioni in Francia e altri Paesi europei, era ben noto tra i connazionali asiatici presenti in Italia ed all’estero, ai quali imponeva con la forza il silenzio circa l’esistenza dell’organizzazione.

Mafia rumena

La criminalità romena conferma, nel semestre in esame, i propri interessi illeciti nella tratta di donne da avviare alla prostituzione, nei reati predatori e, in misura minore, nel traffico e nello spaccio di stupefacenti. Il 21 novembre 2019, la Polizia di Stato di Brescia ha disarticolato un’organizzazione criminale composta da 4 romeni, ritenuti a vario titolo responsabili di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione nei confronti di giovani connazionali. Le stesse erano costrette, con minacce di morte e percosse, a consegnare tutti i proventi dell’attività di meretricio, che venivano inviati all’estero mediante money transfer. Alcune delle donne erano state reclutate in Romania con la falsa promessa di un lavoro regolare in Italia.

Controllo degli appalti

Gli appalti costituiscono uno degli obiettivi di interesse strategico delle organizzazioni mafiose, in quanto consentono non solo di reinvestire, in iniziative legali, le ingenti risorse “liquide” provenienti dalle molteplici attività criminali, ma soprattutto rappresentano un’ulteriore fonte di guadagni e un collaudato sistema di pulizia del denaro sporco. L’esperienza investigativa maturata nel corso del tempo ha dimostrato come una delle modalità  utilizzate  dall’impresa  mafiosa  per  aggiudicarsi  gli  appalti  più  consistenti  – superando così l’ostacolo dei requisiti fissati dal bando per la partecipazione alla gara – sia la tecnica dell’“appoggiarsi” ad aziende di più grandi dimensioni, in grado di far fronte, percapacità organizzativa e tecnico-realizzativa anche ai lavori più complessi, dai quali risulterebbe altrimenti esclusa.

Tra le modalità d’infiltrazione praticate attraverso l’utilizzo di forme societarie giuridicamente lecite, è emersa recentemente anche quella della partecipazione a “Consorzi di Imprese”, secondo la prassi del frazionamento di un lavoro in vari sub-contratti, allo scopo di eludere l’obbligo della preventiva autorizzazione per l’affidamento dei lavori. In questo senso, particolari sforzi investigativi sono stati profusi proprio nel settore dei sub – affidamenti i quali, attraverso le collaudate metodiche dei subappalti, dei noli a caldo e a freddo, del movimento terra, del trasporto e della fornitura dei materiali e delle materie prime, rappresentano per definizione, le principali tecniche utilizzate per annullare ogni possibile forma di concorrenza, estromettendo dal mercato le aziende “pulite”.

Anche il ricorso alla turbativa dei sistemi legali di scelta del contraente, attuata dalle mafie allo scopo di accaparrarsi appalti e contratti pubblici, è risultata una strategia spesso praticata al fine di condizionare in concreto, la partecipazione delle imprese alle gare pubbliche. Quelli appena citati rappresentano solo alcuni dei diversi metodi utilizzati per l’infiltrazione del settore dei “lavori pubblici” e degli appalti, riscontrati dalla Dia nel corso dell’attività di prevenzione e contrasto.
 
Un impegno che, nel 2020, a seguito della pandemia Covid -19, sarà rivolto anche al monitoraggio degli ingenti finanziamenti pubblici, sia nazionali che comunitari, destinati all’assegnazione di commesse e alla realizzazione di opere pubbliche, tutte a forte rischio di infiltrazione da parte delle consorterie mafiose. In particolare, verranno monitorati l’aggiudicazione di appalti per la realizzazione e il potenziamento di opere e infrastrutture sanitarie, nonché i servizi connessi al “ciclo della sanità”, quali la produzione e la fornitura di presidi e dispositivi medici, la gestione dei rifiuti speciali sanitari, la sanificazione ambientale etc., settori notoriamente nelle mire della criminalità organizzata.

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